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INFORMAZIONI E COMMENTI SU AMBIENTE E TERRITORIO DALL’ITALIA E DAL MONDO
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di Francesca Monti
In questa piacevole chiacchierata, Giorgio Gobbo ci ha parlato del nuovo disco “Sulla testa dell’elefante”, dei riferimenti musicali della band Bottega Baltazar.
Giorgio, com’è nato questo progetto e come mai avete scelto questo titolo?
“L’elefante a cui allude il titolo è una montagna che si trova nell’Alto Vicentino, chiamata Monte Summano, una porta di passaggio tra la pianura urbanizzata e il mondo alto delle vette, dove ci siamo ritirati per diverse settimane qualche tempo fa con lo scopo di scrivere del materiale inedito per un nuovo disco. L’elefante è il soprannome che abbiamo dato a questa montagna, perché arrivando dalla pianura la si nota avendo due cime che ricordano il profilo di questo animale”.
Nel disco ci sono vari riferimenti al territorio veneto, penso ad esempio al brano “Sora del mont” che mischia una serie di dialetti veneti diversi…
“Viviamo all’interno di questa tensione tra riferimenti territoriali a noi vicini, perchè ci piace parlare di cose che conosciamo bene e allo stesso tempo una proiezione verso temi più universali. Del resto credo sia una cosa normale, nel senso che se ascolti le canzoni di Bob Dylan ci sono riferimenti ai suoi luoghi che però diventano luoghi altri, dell’anima. Il deserto delle canzoni americane diventa magari il deserto che sperimentiamo nella nostra vita, anche se viviamo a Mestre”.
Il disco si chiude con “Venite adoremus” che tratta la tematica molto attuale dei migranti e con “Foresta casa mia” che si rifà a quest’idea del viaggiare, del conoscere le culture diverse, all’immagine dello straniero che alle volte viene un po’ stereotipata…
“Sì, è così. In particolare “Venite adoremus” tratta un problema con cui la contemporaneità ci obbliga a confrontarci, sia che si sia a favore o contrari al fenomeno dell’immigrazione, è qualcosa a prescindere che incontra la nostra vita. La provocazione del testo si riferisce al fatto che quando si parla di Europa cristiana a volte ci si dimentica che la nascita di Cristo è raffigurata come quella di due genitori in fuga, due migranti che scappano alla ricerca di un posto migliore in cui far crescere il proprio figlio. Per cui il nostro è un punto di vista umanistico”.
Quanto c’è di autobiografico nelle vostre canzoni? A cosa ti ispiri per scrivere i testi?
“Sono cose autobiografiche, ma se sono realmente accadute non so rispondere. Chi racconta storie se le vuole raccontare bene parla sempre di qualcosa che conosce in prima persona, ma può anche narrare dei fatti non veri. Per cui non svelerò questo trucco della nostra officina (ride)”.
Da dove nasce il nome della vostra band, Bottega Baltazar?
“Bottega è stato scelto per indicare il modo con cui volevamo lavorare sulla musica, come artigiani, cioè con calma, pazienza e la voglia di fare cose fatte a regola d’arte e anche in contrasto con la musica dei grandi magazzini, realizzata secondo le regole del marketing. Quindi volevamo proporre qualcosa che andasse in controtendenza a quel modo di produrre musica del mondo commerciale. Baltazar era un suono che ci piaceva e si rifà alla figura di Baltazar Sette Soli, che era un personaggio di un romanzo di Saramago (Memoriale del convento, ndr)”.
La vostra musica spazia dal folk alla canzone d’autore, avete fatto anche colonne sonore per il cinema e il teatro. Quali sono i vostri riferimenti musicali?
“Sarebbe un elenco molto lungo… Apprezziamo quegli artisti che riescono a lavorare sulla musica e sul rapporto tra musica e parola poetica, quindi i cantautori italiani del passato, ma anche francesi o americani come Bob Dylan e Simon & Garfunkel. Una cosa che ci piace è mettere la nostra musica al servizio delle idee altrui che condividiamo. E’ per questo che nel corso degli anni abbiamo sviluppato un lavoro cooperativistico con Andrea Segre per quanto riguarda la produzione di video, sia documentari sia fiction, ma anche con altri registi come Marco Zuin e collaborazioni con il mondo del teatro come quella con Andrea Pennacchi, Vasco Mirandola e con la Compagnia Ottavo Giorno che si occupa di danza e che propone un’idea molto interessante, secondo noi, di integrazione tra disabili e abili dove la disabilità in scena non diventa un fattore limitante ma al contrario un punto di intensità nel trasmettere emozioni, nella capacità di emozionare”.