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Film Drammatico (durata 93 min. – Italia 2016 )
Un film di Gianclaudio Cappai. Con Michele Riondino, Valentina Cervi, Elena Radonicich, Giordano De Plano, Fabrizio Ferracane.
Bruno è gravemente malato di una malattia che ha origini lontane collegate ad un evento traumatico del passato. Sua moglie Elena cerca di stargli vicino ma non le è permesso varcare quel muro che Bruno ha eretto a protezione dell’orrore e della vergogna. Ma il destino vuole che Elena venga chiamata a restaurare un antico dipinto proprio nel luogo in cui è avvenuto l’evento traumatico che ha rivoluzionato la vita di suo marito, che sceglierà di seguirla senza avvisarla che ha un piano prestabilito in mente.
Gianclaudio Cappai debutta al lungometraggio di finzione dopo il successo del corto Purché lo senta sepolto, vincitore al Torino Film Festival, e dopo il mediometraggio So che c’è un uomo. Cappai ha una mano registica felice e una grande capacità di creare atmosfere (in questo caso inquietanti) utilizzando bene gli spazi, con particolare attenzione a quell’architettura agricola e industriale che costituisce il tessuto (anche estetico) del nostro Paese. All’abilità registica però non corrisponde una altrettanto efficace abilità narrativa, e la trama suscita parecchie perplessità. In particolare il personaggio di Elena sembra essere pretestuoso, uno stratagemma per riportare Bruno alle sue radici che però tiene la moglie inspiegabilmente lontana dalla scena in cui si svolge il dramma.
Cappai si cimenta con il noir alimentando quella corrente cinematografica italiana che saggiamente sta riscoprendo i generi, ma non può ignorare l’esistenza di un intero filone internazionale di “film di vendetta” che ha già i suoi maestri in autori come Park Chan-wook, abili soprattutto nella costruzione di sceneggiature che funzionano come congegni ad orologeria. Il quartetto di interpreti è molto efficace (e ben diretto) ma le loro motivazioni e il loro arco narrativo non sono sufficientemente sviluppati. Per contro Cappai è estremamente evocativo nel creare (coadiuvato dallo scenografo Alessandro Bertozzi) un habitat originale per i suoi personaggi, che comprende una fornace dantesca capace di conciliare artigianalità italiana e istinti mefistofelici universali, giacché c’è chi è “incline al male fin dalla nascita”.
Anche la metafora del fuoco che, come la rabbia e il rancore, va alimentato affinché continui a consumare le anime dei dannati è cinematograficamente interessante. Se per il prossimo lungometraggio (perché il regista merita sicuramente altre occasioni) Cappai saprà costruire una sceneggiatura all’altezza delle sue intuizioni visive sarà premiato da pubblico e critica.